Tra selfie e sicurezza: riflessioni sulla tutela delle opere d’arte

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Proteggere l’arte: una sfida che riguarda tutti noi

Negli ultimi giorni, due episodi che hanno coinvolto opere d’arte in Italia ci hanno fatto riflettere sul delicatissimo equilibrio tra la voglia di avvicinarci all’arte e la necessità di proteggerla. A Firenze, un turista è inciampato danneggiando un quadro del Settecento agli Uffizi, mentre a Torino una scultura contemporanea, la “Sedia di Van Gogh” di Nicola Bolla, è stata irrimediabilmente rovinata da un visitatore poco attento. Questi fatti non sono solo incidenti isolati: sono un campanello d’allarme per tutti noi, amanti dell’arte, operatori culturali e semplici visitatori.

L’arte, soprattutto quella fragile e preziosa, va trattata con rispetto e cura. Ma come possiamo garantire che le nostre passioni non finiscano per trasformarsi in danni irreparabili? È fondamentale adottare un approccio che unisca sicurezza, tecnologia e soprattutto educazione. Prima di tutto, serve una presenza più visibile e competente di personale dedicato alla sicurezza delle opere. Parlo di quei guardasala capaci di dialogare con il pubblico, spiegando perché non si possono fare certe cose come scattare selfie troppo ravvicinati o toccare le opere.

In secondo luogo, bisognerebbe limitare l’uso degli smartphone nei pressi delle opere più fragili. Capisco l’impulso di voler immortalare un momento, ma a che prezzo? I musei possono e devono mettere regole più rigorose, accompagnate da una comunicazione chiara e immediata, per evitare che la ricerca del like metta a rischio un patrimonio inestimabile.

Non meno importante è l’aspetto fisico della protezione: barriere trasparenti e vetri protettivi possono sembrare una barriera all’esperienza, ma sono un compromesso necessario per tutelare capolavori che non possiamo permetterci di perdere. Infine, e forse più importante, dobbiamo lavorare sulla sensibilizzazione del pubblico. L’arte non è solo da vedere, è da vivere con rispetto. Piccole campagne informative, video, spiegazioni semplici e coinvolgenti possono fare la differenza nel creare una comunità di visitatori consapevoli e attenti.

L’uso di tecnologie avanzate, come sensori di movimento e telecamere intelligenti, può aiutare a prevenire incidenti prima che accadano, ma nulla potrà mai sostituire la responsabilità individuale e collettiva. Come appassionato d’arte, credo fermamente che ogni visita a un museo sia un’occasione preziosa per entrare in contatto con la bellezza e la storia. Ma è anche un momento in cui dobbiamo ricordarci che quel tesoro non ci appartiene, lo custodiamo solo temporaneamente, per le generazioni future. Proteggere l’arte è quindi una sfida che riguarda tutti noi: visitatori, curatori, istituzioni. Solo così potremo continuare a vivere l’emozione di fronte a un capolavoro senza doverci preoccupare di perderlo per sempre.


Protecting Art: A Challenge That Concerns All of Us

In recent days, two incidents involving artworks in Italy have made us reflect on the delicate balance between our desire to get close to art and the need to protect it. In Florence, a tourist stumbled and damaged an 18th-century painting at the Uffizi Gallery, while in Turin a contemporary sculpture, Nicola Bolla’s “Van Gogh’s Chair,” was irreparably damaged by an inattentive visitor. These events are not isolated accidents—they are a wake-up call for all of us: art lovers, cultural workers, and casual visitors alike.

Art, especially fragile and precious works, must be treated with respect and care. But how can we ensure that our passion doesn’t end up causing irreversible damage? It is essential to adopt an approach that combines security, technology, and above all, education.

First of all, a more visible and skilled presence of staff dedicated to the protection of artworks is needed. I’m not just talking about guards, attendants musuems who can engage with the public, explaining why certain behaviors—like taking selfies too close or touching the art—are not allowed. Secondly, the use of smartphones near the most fragile pieces should be limited. I understand the impulse to capture a moment, but at what cost? Museums must set stricter rules, accompanied by clear and immediate communication, to prevent the pursuit of likes from endangering priceless heritage.

Equally important is the physical protection: transparent barriers and protective glass may seem like obstacles to the experience, but they are a necessary compromise to safeguard masterpieces we cannot afford to lose. Finally, and perhaps most importantly, we must work on raising public awareness. Art is not just to be seen; it is to be experienced with respect. Small informative campaigns, videos, and simple yet engaging explanations can make the difference in creating a community of mindful and attentive visitors.

The use of advanced technologies—such as motion sensors and smart cameras—can help prevent accidents before they happen, but nothing will ever replace individual and collective responsibility. As an art enthusiast, I firmly believe that every visit to a museum is a precious opportunity to connect with beauty and history. But it is also a moment when we must remember that this treasure does not belong to us—we are only its temporary caretakers, for future generations. Protecting art is therefore a challenge that concerns all of us: visitors, curators, and institutions alike. Only in this way can we continue to feel the thrill of standing before a masterpiece without fearing to lose it forever.


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